Il Pirata ed Il Barone Rosso

Il Pirata ed Il Barone Rosso

Buongiorno Folkriders,

io credo che tutte le idee che riusciamo a concretizzare da adulti, nascano sempre quando siamo bambini. In alcuni casi ne siamo consapevoli, in altri meno, ma la genesi è sempre quella. Le idee seguono un loro particolare ciclo delle stagioni: fioriscono, prosperano, si assopiscono, forse anche muoiono in alcuni loro aspetti. Ma poi ritornano sempre.

Ecco il motivo per cui, quando esco a girare in downhill- con ahimè, risultati rivedibili -con un mio buon amico, sono sempre impaziente di ascoltare i suoi racconti sul figlioletto di otto anni. Di come cresce e soprattutto, di come si appassiona alle cose, di come scopre il mondo attraverso filtri tutti suoi. Di come sia pronto ogni giorno a farsi nuovi eroi da emulare e nuovi sogni da inseguire.

Così, tra la nostalgia di un ricordo e l’agrodolce invidia che solo i bambini di una volta sono capaci di provare, cerco di riconnettermi a quelle sensazioni, a quella purezza limpida e senza limiti di chi pian piano apre gli occhi sulla magia delle cose.

E per fortuna, per gioia, riesco a ritrovarla sempre, quella magia. Certo, non senza un piccolo grande segreto.

Perché forse, il vero cruccio è proprio questo: ognuno di noi avrebbe il diritto di rimanere attaccato al brivido dell’infanzia, uno dei pochi, veri, grandi lussi della nostra vita.

Solo che, quasi sempre, serve un aiuto. Una mano tesa verso quel tempo. Un sigillo infrangibile che suggella il legame con il tuo io più fantasioso, rendendolo perpetuo ed inscalfibile.

Ebbene, il segreto di cui parlavo prima, Il sigillo infrangibile, se state leggendo queste righe, lo conoscete già bene.

Ha un telaio a diamante, due ruote, due pedali, una catena ed un’anima bella.

Di nome fa Bicicletta, ovvero colei che sola ti insegna a viaggiare nel tempo e nello spazio. Nelle dimensioni del territorio e della fantasia, o, nel mio caso, colei che mi riporta sempre alla mia epoca, quella del Pirata e del Barone Rosso.

Avevo anche io circa otto anni, nel 1998. E le mie giornate si dividevano tra queste due figure egualmente lontanissime. Eppure, uno lo vedevi bene. Era cresciuto lì, a pochi passi da dove tu vivevi. Aveva la bandana e l’orecchino. Ad una certa, pure il pizzetto. E quando lo vedevi partire, sulle più tremende montagne d’Italia e di Francia, ti sembrava che il cielo fosse davvero lì,  a portata di salto.

L’altro, imparavi a conoscerlo sui libri di aviazione, che divoravi senza sosta.  E poi via, dopo aver disegnato – male – quel che sembrava il cockpit di un triplano su un vecchio cartone per il trasloco. Interi pomeriggi trascorsi a sognare di volare, con un apparecchio dalla livrea rossa. E me lo immaginavo, alla testa di quel suo Circo Volante, in quella esplosione di colori che irrorava i cieli d’Europa. Colpiva il mio immaginario come ben poco altro, prima e dopo.

Il punto era che il Pirata e il Barone Rosso li inseguivo sempre. Nei libri, in tv, ogni volta che uscivo nel mondo. Era proprio quella lontananza, quella irraggiungibilità a scatenare la potenza dell’immaginazione.  A darmi quell’entusiasmo, pieno di spirito di emulazione, forse anche di ingenua imitazione. Senza capire, naturalmente, che si trattava di due ragazzi, due icone, certo in ambiti diversissimi, ma non di eroi senza peccato. Lo avrei naturalmente capito in seguito.

Quello che capii subito, è che contribuirono a modellare quello che volevo essere: affamato di libertà e di avventura, desideroso di lasciare la mia traccia, di sfidare la banalità, di far vincere sempre la fantasia.

C’ero, quel 6 giugno 1999 in Corso Sempione a Milano. Arrivava il Giro d’italia, ma il Pirata non c’era. Tra i fulmini colorati che mordevano l’asfalto, potevo inseguire solo la sua ombra.

C’ero, l’anno successivo, al mio esame di 5° elementare, con una tesina che, lo ricordo, iniziava con una foto del Triplano Rosso in copertina. E dopo quel momento, in cui ne raccontai la storia, come solo un undicenne appassionato può essere, quasi gli diedi il permesso di lasciare i miei pensieri.

Dopo tutti questi anni, ancora non so se li ho lasciati andare.

Ma so quanto mi piace, ancora oggi, pedalare per le strade della mia città o i sentieri delle mie campagne. Scattare come se volessi raggiungere il cielo. Sperare che tutti si voltino, ad osservare rapiti la luce ed il colore sprigionati dalla scia della mia bicicletta.

Ritorno sempre lì, a quelle sensazioni. Con l’esperienza degli anni, con una inevitabile dose di realismo o disillusione in più.

Ma sono dell’idea che, se resti in contatto con le tue idee più pure, non smetterai mai di sentirti al tuo posto.

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